La strage di Peteano è un atto terroristico avvenuto il 31
maggio 1972 a Peteano, frazione del comune di Sagrado.
Venne compiuta dal reo confesso Vincenzo Vinciguerra (Catania, 1949), da Carlo Cicuttini (San Giovanni al Natisone-Palmanova) e Ivano
Boccaccio, neofascisti aderenti ad Ordine Nuovo.
La strage, provocò la morte di tre uomini
dell'Arma dei Carabinieri: il brigadiere Antonio Ferraro di 31 anni e i
carabinieri Donato Poveromo e Franco Dongiovanni di 33 e 23 anni. Rimasero
gravemente feriti il tenente Angelo Tagliari e il brigadiere Giuseppe Zazzaro.
L'attentato
La notte del 31 maggio, alle ore 22:35, una telefonata
anonima giunse al centralino del pronto intervento della Stazione dei
Carabinieri di Gorizia: a riceverla e a registrarla fu il centralinista di
turno Domenico La Malfa.
Il testo della comunicazione in lingua dialettale è il seguente:
Il testo della comunicazione in lingua dialettale è il seguente:
"Pronto? Senta, vorrei dirle che ghe sè una machina che gà
due buchi sul parabreza, no, fra la strada de Poggio Terza Armata a Savogna... da Poggio Terza Armata... la sè una cinquecento"
Sul posto accorsero alcune pattuglie di carabinieri,
che rinvennero la Fiat 500 bianca con i due buchi sul parabrezza, così come
aveva comunicato in dialetto l'anonimo informatore.
La prima pattuglia che viene inviata è quella dei carabinieri di Gradisca d'Isonzo, con l'Appuntato Mango e il Carabiniere Dongiovanni.
Dieci minuti dopo i due sono sul posto e trovano la Cinquecento targata GO 45902. È visibile in un viottolo di terra battuta, subito dopo una curva, al chilometro 5. Mango decide di chiamare il suo ufficiale, il tenente Tagliari, che parte anche lui accompagnato dal Brigadiere Antonio Ferraro e dal Carabiniere Donato Poveromo e arrivano sul posto con una seconda gazzella alle 23:05, poi raggiunta da una terza pattuglia da Gorizia.
La prima pattuglia che viene inviata è quella dei carabinieri di Gradisca d'Isonzo, con l'Appuntato Mango e il Carabiniere Dongiovanni.
Dieci minuti dopo i due sono sul posto e trovano la Cinquecento targata GO 45902. È visibile in un viottolo di terra battuta, subito dopo una curva, al chilometro 5. Mango decide di chiamare il suo ufficiale, il tenente Tagliari, che parte anche lui accompagnato dal Brigadiere Antonio Ferraro e dal Carabiniere Donato Poveromo e arrivano sul posto con una seconda gazzella alle 23:05, poi raggiunta da una terza pattuglia da Gorizia.
I carabinieri Antonio Ferraro, Donato Poveromo e Franco
Dongiovanni tentarono di aprire il cofano del mezzo, provocando l'esplosione
dell'auto e rimanendo uccisi, mentre altri due rimasero gravemente feriti.
La Fiat 500 dopo l'esplosione
(di sconosciuto - Altriconfini.it)Fonte immagine: wikipedia |
Le indagini
A dirigere le indagini sulla vicenda venne posto il
Colonnello Dino Mingarelli, vecchio braccio destro del Generale Giovanni de
Lorenzo. Mingarelli diresse subito la sua inchiesta verso gli ambienti di Lotta Continua di Trento, ma le indagini non ottennero gli esiti previsti: dalla
magistratura milanese giunse l'informazione secondo cui l'attentato sarebbe
stato attuato da un gruppo terrorista neofascista, di cui fece parte anche
Ivano Boccaccio, militante ucciso in un tentato dirottamento di un aereo all'aeroporto
di Ronchi dei Legionari nell'ottobre successivo.
L'informazione era stata data da Giovanni Ventura, nel
frattempo arrestato per la strage di Piazza Fontana: il Colonnello tuttavia
scartò l'indicazione milanese e, con il suo "braccio destro", il Capitano Antonino Chirico, rivolse le
attenzioni investigative verso sei giovani, conducendoli a processo: secondo il
Mingarelli essi si sarebbero vendicati di alcuni sgarbi subiti dai Carabinieri.
Il movente proposto non convinse i giudici, che assolsero i
sei giovani, i quali, una volta liberi, denunciarono Mingarelli per le false
accuse, dando inizio a una nuova inchiesta contro ufficiali dei carabinieri e
magistrati per aver deviato le indagini. L'istruttoria della strage, intanto,
si era indirizzata verso gli ambienti neofascisti.
Il processo per la Strage di Peteano
In seguito alle indagini sulla Strage di Peteano, il terrorista neofascista Vincenzo Vinciguerra (Catania, 1949), reo confesso per la strage, rivelò nel 1982 come il segretario del MSI Giorgio Almirante (1914-1988) avesse fatto
pervenire la somma di 35.000 dollari a Carlo Cicuttini, dirigente del MSI
friulano e coautore della strage, affinché modificasse la sua voce durante la
sua latitanza in Spagna mediante un apposito intervento alle corde
vocali: tale intervento si rendeva necessario poiché Cicuttini, oltre
ad aver collocato materialmente la bomba assieme a Vincenzo Vinciguerra (Catania, 1949), si era reso
autore della telefonata che aveva attirato in trappola i carabinieri e la sua
voce era stata identificata mediante successivo confronto con la registrazione
di un comizio del MSI da lui tenuto.
Nel giugno del 1986, a seguito dell'emersione dei documenti
che provavano il passaggio del denaro tramite una banca di Lugano, il Banco di
Bilbao e il Banco Atlantico, Giorgio Almirante (1914-1988) e l'avvocato goriziano Eno
Pascoli vennero rinviati a giudizio per il reato di favoreggiamento aggravato
verso i due terroristi neofascisti.
Furono rinviate a giudizio 18 persone, tra militanti di
destra e ufficiali dei carabinieri, mentre il magistrato triestino Bruno
Pascoli morì durante il processo.
Vincenzo Vinciguerra (Catania, 1949) e Carlo Cicuttini (San Giovanni al Natisone-Palmanova) vennero condannati all'ergastolo,
Carlo Maria Maggi a 12 anni per reato associativo, Carlo Digilio e Delfo Zorzi
rispettivamente a 11 e 10 anni per lo stesso reato. Altri militanti locali sono
stati condannati a pene tra i 4 e i 6 anni: Gaetano Vinciguerra, Giancarlo
Flaugnacco e Cesare Benito Turco. Eno Pascoli è stato condannato a 3 anni e 9
mesi, la moglie Liliana De Giovanni a 11 mesi, mentre Giorgio Almirante (1914-1988) usufruì
dell'amnistia.
Gli ufficiali ritenuti colpevoli di depistaggio, Antonio Chirico, Dino Mingarelli, Giuseppe Napoli e Michele Santoro, vennero condannati a pene comprese tra i 3 e i 10 anni e 6 mesi.
Gli ufficiali ritenuti colpevoli di depistaggio, Antonio Chirico, Dino Mingarelli, Giuseppe Napoli e Michele Santoro, vennero condannati a pene comprese tra i 3 e i 10 anni e 6 mesi.
La sentenza d'appello confermò solo l'ergastolo di Carlo Cicuttini (San Giovanni al Natisone-Palmanova) (Vincenzo Vinciguerra non aveva fatto ricorso) assolvendo tutti gli altri
imputati ma la Cassazione, presieduta da Corrado Carnevale, annullò con
rinvio le assoluzioni di Chirico, Mingarelli e Napoli, confermando invece le
altre decisioni.
Nel nuovo processo venne accertato il depistaggio dei tre
ufficiali: Giuseppe Napoli venne condannato a 3 anni e 1 mese mentre Antonio Chirico e Dino Mingarelli a 3 anni e 10 mesi, condanne diventate definitive nel
1992.
Nell'ultima inchiesta è stato accertato anche il depistaggio
di un perito e di altri Ufficiali dei Carabinieri, accusati di falsa
testimonianza.
Carlo Cicuttini (San Giovanni al Natisone-Palmanova), fuggito in Spagna, venne catturato nell'aprile del 1998, a 26 anni dalla strage, quando fu vittima egli stesso di una
trappola: la procura di Venezia gli fece offrire un lavoro a Tolosa dove, recatosi
convinto di intraprendere le trattative contrattuali, venne arrestato dalla
polizia ed estradato dalla Francia.
Attualmente Vincenzo Vinciguerra (Catania, 1949) sta scontando una condanna all'ergastolo in qualità di reo confesso della strage.
Attualmente Vincenzo Vinciguerra (Catania, 1949) sta scontando una condanna all'ergastolo in qualità di reo confesso della strage.
Declassificazione degli atti
Con una direttiva del 22 aprile 2014, tutti i fascicoli
relativi a questa strage non sono più coperti dal segreto di Stato e sono
perciò liberamente consultabili da tutti.
Il monumento sulla SP8 a ricordo della strage
Fonte: wikipedia
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